Gli inediti di Carlo Michelstaedter
Paula Michelstaedter trascrisse i versi e le riflessioni del fratello Carlo. Le carte sopravvissero alla razzia dei tedeschi che nel 1943, durante la persecuzione degli ebrei goriziani e la requisizione dei loro beni, svuotarono l'appartamento di Paula a Gorizia, in via Pitteri. Una vicina di casa riuscì a mettere in salvo la cassa in cui erano conservate e così salvò l'opera del giovane filosofo, morto suicida nel 1910
Distici (!) (1901)
Pioggia che cadi scrosciante che bagni ed avvolgi Gorizia
Colgati il cancro affinché più non ti vegga tra i piè
Pioggia infame ed odiata che annaffi e rovini ogni festa
Trema! la mia cadrà certa vendetta su te.
Vedo venire quel giorno, mi mette la gioia nel cuore
Ché finalmente potrò, secco vedere il terren:
Sterminate pianure si estendono lussureggianti
Già nell’azzurro del ciel splende infocato il bel sol
Raggi cocenti egli manda alla candida strada maestra
Che dalla Mainizza va fino alla nostra città.
Sul mio leggero biciclo io volo, divoro la strada
Volo con rapidità senza alcun brutto pensier
Volo e la corsa sfrenata mi apre la mente ed il core
Librasi in alto il pensier, alti ideali egli vuol
Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi dà, tutto è una gran voluttà.
In bicicletta Esametri (Dicembre 1902)
Sterminate pianure si estendono lussureggianti,
Guida nel ciel di Latona il figlio il suo cocchio dorato,
Dardi infocati mandando alla candida strada maestra.
Sul mio cavallo d’acciaio io volo; né brutti pensieri
Turban la mente entusiasta che spazia per campi infiniti.
Volo e la corsa veloce mi apre i polmoni ed il core,
Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi getta, arcana mi dà sensazione
Ave biciclo pietoso che allievi le cure ai mortali!
III
Al Vivaldi per un pezzo di legno (Dicembre 1902)
IV
A Semig (Novembre 1903)
Nel giorno memorando in cui giungi ai sedici anni
Vengo a farti i miei auguri, mio carissimo Giovanni
Che tu possa avere al fianco sempre un uomo come me
Un amico così buono così bello, hè hè hè.
Che tu possa esser allegro come adesso d’ogni età
E gridar senza pensieri sempre: Franz tà tà tà tà!
V
Brumat (1903)
Lungo e sottile, i morbidi mustacchi orizzontali
Alta la fronte d’ispidi capelli incorniciata
Celesti gli occhi che dicono ai mortali
Ch’alti pensieri volgonsi nell’alma innamorata.
VI
A Mreule (Sabato 10.30-11) 1900-1901
Carissimo!
Non t'adontar di mie parole o Rico
amico vero parla ad un amico
col fare antico.
D'allungarmi in preludi non mi sento
senza proemio entro in argomento:
non so esser lento.
_
Se 'l tutto è nulla noi siam men che nulla,
Noi al dolor votati dalla culla
siam gente grulla.
E poi che liberarci a noi non lice
dalli legami delle convenienze
di render tentiamo almen felice
questo viaggio pien di sofferenze,
tentiam di sollevarci dalla schiera
degl'uomini volgari, e una bandiera
leviamo di giustizia e libertate,
le genti basse e vili e interessate
pieghino a noi le fronti umiliate.
Giacché se dura vuol necessitate
che in una tragi-comica tenzone
si dibatta una gente che possiede
problematico lume di ragione
senza mercede,
sentiamo almen di rendere più lieve
questo d'obblighi pondo tanto greve.
Infine procuriam di soddisfare
i bisogni innegabili morali
della nostra natura, ché lottare
con lei non giova. Come i materiali
di lei bisogni tutti soddisfiamo
quantunque sieno dalla nostra mente
chiamati vili. Così pur dobbiamo
al nostro cuor concedere equamente
soddisfazioni morali e aspirazioni,
quantunque lo θυμός ce lo dispregi.
Ma già di queste mie dissertazioni
sarai ristucco. Dissi senza fregi
della mia mente piccola il pensiero
profondo e intero.
Riassunsi quel che dissi in bicicletta
in maniera probabile, migliore,
rapidità fa aprire e mente e cuore,
si pensa in fretta. -
E se non abbiam forza di cangiare
queste del mondo condizioni amare
di ridere di loro almen tentiamo
così godiamo. -
Vedevo andare in schiera ora i soldati
Ritti marciando e duri, vincolati
dalla catena della disciplina -
Ecco l'armata fa da burattina!
Son giovani che prima avean decoro!
Ed or non son che macchine di carne!
L'assurditate invece che lagnarne
risi di loro!
-
(Ott. 1904)
Il lavoro pei mortali
è un futuro spaventoso
un presente faticoso
ma un passato splendido
VII (1904)
O perché mai si uccide il delinquente,
perché il malvagio si disprezza ognora
e chi il principio dell'onesto ignora!
Se tal natura o il pernicioso ambiente,
lo fecero di che lo si condanna!
O si condannerà forse un vitello
perché bovino nacque e non uccello?
Un falso senso la ragione inganna,
una coscienza fatta d'egoismo.
VIII (1904-1905)
Ruppe i vetusti ceppi della fede
in sé solo fidente il mio pensiero.
Le oscure fonti a ricercar del vero
cieco diresse e malsicuro il piede,
per ciechi orrori incontro al fine ignoto
al fine ignoto che l'affascinava. -
Verso la luce brancolando andava
avido e forte nell'orrendo vuoto.
Lieve chiarore allora lui fu duce
e 'l giunse al fine con fatica immane
- o falsa luce vaga d'ombre vane!
vano riflesso dell'eterna luce!
L'eterno vero fermo ed immutabile
noi stupidi miriam oltre alla lente
bugiarda e miope della nostra mente
che ce lo mostra diminuito e labile.
Ei si credé del dubbio vittorioso,
sostò sui falsi allori trionfante,
e della fede le catene infrante
mirò superbo con l'occhio pensoso.
Ma ancor l'incalza la rabida sete,
a conseguire l'assoluto vero
e fissa gli occhi nell'abisso nero
e cade per la lubrica parete,
giù nell'imperscrutabile mistero
della vita. Io vidi allor che vano
e relativo è ogni pensiero umano,
vano l'affaticar del mio pensiero.
Volli tornare i passi alla realtà
della vita che avevo abbandonata.
Aimè quant'era agli occhi miei cangiata,
quanto diversa ormai la società!
Era stracciato il velo pietoso
che le miserie della vita asconde
ed io scendeva nelle più profonde
sue piaghe col ferro sanguinoso,
e le scrutava di veder dolente
e le scrutava col ferro fatale,
tutte le fibbre distruggeva il male,
trionfava la menzogna; e l'arti lente
dell'ipocrita erano stromento
all'egoismo che move ogni cosa,
e in questa terra di pietà pelosa
regna sovrano, autocrata, violento.
Manifeste mi furono le frodi
dei giusti, e le malvagità dei buoni,
e manifeste delle religioni
le infamie e le vigliaccherie dei prodi.
Nel vile fango troppo avea indagato
e allor che il vero l'animo m'offuse,
ogni energia di vita in me si spense,
in me lasciando il core assiderato.
Ai! quanto è triste quanto doloroso
l'arida vita trascinando andare,
del fuoco privi sacro e salutare
del fuoco della vita poderoso.
All'intelletto, al cuore ed alle braccia
manca l'impulso naturale e forte,
chiude la vita in seno già la morte
ed ombra e morte all'occhio mio s'affaccia.
È morto nel mio core l'ideale
morta è la vita, morta la poesia,
si dibatte il pensier nelle fredd'ale
del nulla sconfinato. Per tal via
solo nella battaglia universale
vivrò la triste vita e così sia!
-
Supremo insulto all' animo dolente
la vanità di tutto l'universo
vedere in me nel cuore e nella mente
specchiato, e nel suo fango esser immerso.
Ad una meta che fermo disprezza
il mio intelletto ammagliatrice eterna
sentirmi spinto da una forza interna
priva di gioia, priva di bellezza.
È freddo il cor. - La fulgida scintilla
del genio e pur dei sensi l'estasi infinita
non sa. Né un lampo di virtù più brilla
in lui né fiamma d'epico valore
a far la forza bruta della vita
impeto d'arte di poesia d'amore.
-
Io non mi so spiegar che sia avvenuto
nell'animo mio triste e sconsolato
nell'animo mio vinto e sfiduciato. -
Come un tenero suono di liuto,
una dolce armonia nel cor mi nacque,
levità salì al cervello voluttuosa
allo stanco cervel che mai non posa.
Vinse il pensiero e tutto allor si tacque. -
Cantava amore. - Un turbamento strano
e puro e dolce e vago d'oblivione
mi scosse. Ahimè! fu forse sogno vano?
Fu di spossati sensi un'illusione?
O forse è vero: nel mio cor lontano
cantava Amor la prima sua canzone?
IX
Ode saffica (aprile 1905)
Io vivo fuori del mondo reale
vivo in un sogno, vivo in un'idea
un'idea che m'innalza, mi ricrea
nella miseria
Il sangue nelle vene si ravviva
come i ruscelli al cader della pioggia.
Io schiavo del pensier ora divenni
un sognatore.
Gli strali del mio povero cervello
che il cuore a me uccidevano ed il mondo
s'arrestano, si smussano placati
interrogando.
Una forma gentile li ha domati
a lei l'ardita piegano carne
si prostrano all'imagine adorata
muti ammirando.
Tra i lampi del pensiero annientatore
fra le battaglie, fra le delusioni
te vidi pura e fulgida fanciulla
nell'innocenza.
X (aprile 1905)
Quanto t'amo mia dolce fanciulla gentil
che rifletti negli occhi lo sguardo d'amor
tu mi elevi, mi salvi da insano furor
che doveva condurmi alla morte.
Tu dal volgo m'innalzi, dall'animo vil
verso il limpido azzurro infinito del ciel
in un'estasi pura e profonda del bel
mentre un'onda d'amore m'incanta
mentre scuote ogni fibra del cuore il sospir
disperato dell'agonizzante Manon
mentre vibra per l'aria il poetico suon
io ti miro negli occhi rapito. -
XI (aprile 1905)
Ora mi sembra d'esser più cattivo
mi sembra muta l'armonia del mondo
mi sembra d'esser divenuto immondo
mi sembra di peccar se di lei scrivo.
E di peccare quando a lei rivolgo
ardente e supplicante il mio pensiero
mi sento tratto in un abisso nero
mi sento perso nell'umano volgo.
XII (Apr. 1905)
Ell'è partita! Ed io son ripiombato
nel deserto dell'alma sconsolata
ella che nella strada affaticata
l'animo mio salvava dalla morte
Non è più qui col suo viso adorato
i pensier a cacciar dalla mia mente,
ritornan ora all'animo dolente
le cupe riflessioni già risorte.
Per me non ebbe pur un'espressione
non uno sguardo, non una parola,
e nel rimpianto della compassione
di me, mi struggo. L'anima mia sola
nell'universo freme ribellione
ed il pensiero amaro a lei sen vola.
XIII (maggio 1905)
Trascorse sono già tre settimane
dacché m'abbandonasti o mia fanciulla
né più un saluto, una parola nulla
giunse le nostre anime lontane
Io non lo so perché, ma involontario
ed insistente, amaro e tormentoso
sorge un pensiero in me che dir non so.
E pur... o mia fanciulla deh m'ascolta
Tu m'obliasti già, né mai sincero
né forte mai fu verso a me il tuo affetto
mai tu corrispondesti nel tuo petto
la fiamma che annientava il mio pensiero.
Fu inganno quello ch'io credetti amore
e fu menzogna l'edera fedele,
tutto un inganno perfido crudele
che m'ha straziato ed invecchiato il cuore.
L'ardente sguardo tuo che m'accendeva
di folle amore e disperato e insano
menzogna, e fu menzogna la tua mano
allor che nella mia si confondeva.
Ed ora tutto tace nel mio cuore,
la fibbra è rotta della mia esistenza
io miro con stupor nell'incoscienza
la vita che ha perduto ogni calore.
E ancor respiro l'atmosfera greve
di vanità, d'infamia di bassezza
donde il suo sguardo con la sua carezza
mi trasse per un tempo ahime! sì breve.
E ancor gli stessi germi in me vegg'io
e nel futuro con l'orrenda gola
guatami là una canna di pistola
Madre natura, amore, vita addio!
Pioggia che cadi scrosciante che bagni ed avvolgi Gorizia
Colgati il cancro affinché più non ti vegga tra i piè
Pioggia infame ed odiata che annaffi e rovini ogni festa
Trema! la mia cadrà certa vendetta su te.
Vedo venire quel giorno, mi mette la gioia nel cuore
Ché finalmente potrò, secco vedere il terren:
Sterminate pianure si estendono lussureggianti
Già nell’azzurro del ciel splende infocato il bel sol
Raggi cocenti egli manda alla candida strada maestra
Che dalla Mainizza va fino alla nostra città.
Sul mio leggero biciclo io volo, divoro la strada
Volo con rapidità senza alcun brutto pensier
Volo e la corsa sfrenata mi apre la mente ed il core
Librasi in alto il pensier, alti ideali egli vuol
Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi dà, tutto è una gran voluttà.
In bicicletta Esametri (Dicembre 1902)
Sterminate pianure si estendono lussureggianti,
Guida nel ciel di Latona il figlio il suo cocchio dorato,
Dardi infocati mandando alla candida strada maestra.
Sul mio cavallo d’acciaio io volo; né brutti pensieri
Turban la mente entusiasta che spazia per campi infiniti.
Volo e la corsa veloce mi apre i polmoni ed il core,
Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi getta, arcana mi dà sensazione
Ave biciclo pietoso che allievi le cure ai mortali!
III
Al Vivaldi per un pezzo di legno (Dicembre 1902)
IV
A Semig (Novembre 1903)
Nel giorno memorando in cui giungi ai sedici anni
Vengo a farti i miei auguri, mio carissimo Giovanni
Che tu possa avere al fianco sempre un uomo come me
Un amico così buono così bello, hè hè hè.
Che tu possa esser allegro come adesso d’ogni età
E gridar senza pensieri sempre: Franz tà tà tà tà!
V
Brumat (1903)
Lungo e sottile, i morbidi mustacchi orizzontali
Alta la fronte d’ispidi capelli incorniciata
Celesti gli occhi che dicono ai mortali
Ch’alti pensieri volgonsi nell’alma innamorata.
VI
A Mreule (Sabato 10.30-11) 1900-1901
Carissimo!
Non t'adontar di mie parole o Rico
amico vero parla ad un amico
col fare antico.
D'allungarmi in preludi non mi sento
senza proemio entro in argomento:
non so esser lento.
_
Se 'l tutto è nulla noi siam men che nulla,
Noi al dolor votati dalla culla
siam gente grulla.
E poi che liberarci a noi non lice
dalli legami delle convenienze
di render tentiamo almen felice
questo viaggio pien di sofferenze,
tentiam di sollevarci dalla schiera
degl'uomini volgari, e una bandiera
leviamo di giustizia e libertate,
le genti basse e vili e interessate
pieghino a noi le fronti umiliate.
Giacché se dura vuol necessitate
che in una tragi-comica tenzone
si dibatta una gente che possiede
problematico lume di ragione
senza mercede,
sentiamo almen di rendere più lieve
questo d'obblighi pondo tanto greve.
Infine procuriam di soddisfare
i bisogni innegabili morali
della nostra natura, ché lottare
con lei non giova. Come i materiali
di lei bisogni tutti soddisfiamo
quantunque sieno dalla nostra mente
chiamati vili. Così pur dobbiamo
al nostro cuor concedere equamente
soddisfazioni morali e aspirazioni,
quantunque lo θυμός ce lo dispregi.
Ma già di queste mie dissertazioni
sarai ristucco. Dissi senza fregi
della mia mente piccola il pensiero
profondo e intero.
Riassunsi quel che dissi in bicicletta
in maniera probabile, migliore,
rapidità fa aprire e mente e cuore,
si pensa in fretta. -
E se non abbiam forza di cangiare
queste del mondo condizioni amare
di ridere di loro almen tentiamo
così godiamo. -
Vedevo andare in schiera ora i soldati
Ritti marciando e duri, vincolati
dalla catena della disciplina -
Ecco l'armata fa da burattina!
Son giovani che prima avean decoro!
Ed or non son che macchine di carne!
L'assurditate invece che lagnarne
risi di loro!
-
(Ott. 1904)
Il lavoro pei mortali
è un futuro spaventoso
un presente faticoso
ma un passato splendido
VII (1904)
O perché mai si uccide il delinquente,
perché il malvagio si disprezza ognora
e chi il principio dell'onesto ignora!
Se tal natura o il pernicioso ambiente,
lo fecero di che lo si condanna!
O si condannerà forse un vitello
perché bovino nacque e non uccello?
Un falso senso la ragione inganna,
una coscienza fatta d'egoismo.
VIII (1904-1905)
Ruppe i vetusti ceppi della fede
in sé solo fidente il mio pensiero.
Le oscure fonti a ricercar del vero
cieco diresse e malsicuro il piede,
per ciechi orrori incontro al fine ignoto
al fine ignoto che l'affascinava. -
Verso la luce brancolando andava
avido e forte nell'orrendo vuoto.
Lieve chiarore allora lui fu duce
e 'l giunse al fine con fatica immane
- o falsa luce vaga d'ombre vane!
vano riflesso dell'eterna luce!
L'eterno vero fermo ed immutabile
noi stupidi miriam oltre alla lente
bugiarda e miope della nostra mente
che ce lo mostra diminuito e labile.
Ei si credé del dubbio vittorioso,
sostò sui falsi allori trionfante,
e della fede le catene infrante
mirò superbo con l'occhio pensoso.
Ma ancor l'incalza la rabida sete,
a conseguire l'assoluto vero
e fissa gli occhi nell'abisso nero
e cade per la lubrica parete,
giù nell'imperscrutabile mistero
della vita. Io vidi allor che vano
e relativo è ogni pensiero umano,
vano l'affaticar del mio pensiero.
Volli tornare i passi alla realtà
della vita che avevo abbandonata.
Aimè quant'era agli occhi miei cangiata,
quanto diversa ormai la società!
Era stracciato il velo pietoso
che le miserie della vita asconde
ed io scendeva nelle più profonde
sue piaghe col ferro sanguinoso,
e le scrutava di veder dolente
e le scrutava col ferro fatale,
tutte le fibbre distruggeva il male,
trionfava la menzogna; e l'arti lente
dell'ipocrita erano stromento
all'egoismo che move ogni cosa,
e in questa terra di pietà pelosa
regna sovrano, autocrata, violento.
Manifeste mi furono le frodi
dei giusti, e le malvagità dei buoni,
e manifeste delle religioni
le infamie e le vigliaccherie dei prodi.
Nel vile fango troppo avea indagato
e allor che il vero l'animo m'offuse,
ogni energia di vita in me si spense,
in me lasciando il core assiderato.
Ai! quanto è triste quanto doloroso
l'arida vita trascinando andare,
del fuoco privi sacro e salutare
del fuoco della vita poderoso.
All'intelletto, al cuore ed alle braccia
manca l'impulso naturale e forte,
chiude la vita in seno già la morte
ed ombra e morte all'occhio mio s'affaccia.
È morto nel mio core l'ideale
morta è la vita, morta la poesia,
si dibatte il pensier nelle fredd'ale
del nulla sconfinato. Per tal via
solo nella battaglia universale
vivrò la triste vita e così sia!
-
Supremo insulto all' animo dolente
la vanità di tutto l'universo
vedere in me nel cuore e nella mente
specchiato, e nel suo fango esser immerso.
Ad una meta che fermo disprezza
il mio intelletto ammagliatrice eterna
sentirmi spinto da una forza interna
priva di gioia, priva di bellezza.
È freddo il cor. - La fulgida scintilla
del genio e pur dei sensi l'estasi infinita
non sa. Né un lampo di virtù più brilla
in lui né fiamma d'epico valore
a far la forza bruta della vita
impeto d'arte di poesia d'amore.
-
Io non mi so spiegar che sia avvenuto
nell'animo mio triste e sconsolato
nell'animo mio vinto e sfiduciato. -
Come un tenero suono di liuto,
una dolce armonia nel cor mi nacque,
levità salì al cervello voluttuosa
allo stanco cervel che mai non posa.
Vinse il pensiero e tutto allor si tacque. -
Cantava amore. - Un turbamento strano
e puro e dolce e vago d'oblivione
mi scosse. Ahimè! fu forse sogno vano?
Fu di spossati sensi un'illusione?
O forse è vero: nel mio cor lontano
cantava Amor la prima sua canzone?
IX
Ode saffica (aprile 1905)
Io vivo fuori del mondo reale
vivo in un sogno, vivo in un'idea
un'idea che m'innalza, mi ricrea
nella miseria
Il sangue nelle vene si ravviva
come i ruscelli al cader della pioggia.
Io schiavo del pensier ora divenni
un sognatore.
Gli strali del mio povero cervello
che il cuore a me uccidevano ed il mondo
s'arrestano, si smussano placati
interrogando.
Una forma gentile li ha domati
a lei l'ardita piegano carne
si prostrano all'imagine adorata
muti ammirando.
Tra i lampi del pensiero annientatore
fra le battaglie, fra le delusioni
te vidi pura e fulgida fanciulla
nell'innocenza.
X (aprile 1905)
Quanto t'amo mia dolce fanciulla gentil
che rifletti negli occhi lo sguardo d'amor
tu mi elevi, mi salvi da insano furor
che doveva condurmi alla morte.
Tu dal volgo m'innalzi, dall'animo vil
verso il limpido azzurro infinito del ciel
in un'estasi pura e profonda del bel
mentre un'onda d'amore m'incanta
mentre scuote ogni fibra del cuore il sospir
disperato dell'agonizzante Manon
mentre vibra per l'aria il poetico suon
io ti miro negli occhi rapito. -
XI (aprile 1905)
Ora mi sembra d'esser più cattivo
mi sembra muta l'armonia del mondo
mi sembra d'esser divenuto immondo
mi sembra di peccar se di lei scrivo.
E di peccare quando a lei rivolgo
ardente e supplicante il mio pensiero
mi sento tratto in un abisso nero
mi sento perso nell'umano volgo.
XII (Apr. 1905)
Ell'è partita! Ed io son ripiombato
nel deserto dell'alma sconsolata
ella che nella strada affaticata
l'animo mio salvava dalla morte
Non è più qui col suo viso adorato
i pensier a cacciar dalla mia mente,
ritornan ora all'animo dolente
le cupe riflessioni già risorte.
Per me non ebbe pur un'espressione
non uno sguardo, non una parola,
e nel rimpianto della compassione
di me, mi struggo. L'anima mia sola
nell'universo freme ribellione
ed il pensiero amaro a lei sen vola.
XIII (maggio 1905)
Trascorse sono già tre settimane
dacché m'abbandonasti o mia fanciulla
né più un saluto, una parola nulla
giunse le nostre anime lontane
Io non lo so perché, ma involontario
ed insistente, amaro e tormentoso
sorge un pensiero in me che dir non so.
E pur... o mia fanciulla deh m'ascolta
Tu m'obliasti già, né mai sincero
né forte mai fu verso a me il tuo affetto
mai tu corrispondesti nel tuo petto
la fiamma che annientava il mio pensiero.
Fu inganno quello ch'io credetti amore
e fu menzogna l'edera fedele,
tutto un inganno perfido crudele
che m'ha straziato ed invecchiato il cuore.
L'ardente sguardo tuo che m'accendeva
di folle amore e disperato e insano
menzogna, e fu menzogna la tua mano
allor che nella mia si confondeva.
Ed ora tutto tace nel mio cuore,
la fibbra è rotta della mia esistenza
io miro con stupor nell'incoscienza
la vita che ha perduto ogni calore.
E ancor respiro l'atmosfera greve
di vanità, d'infamia di bassezza
donde il suo sguardo con la sua carezza
mi trasse per un tempo ahime! sì breve.
E ancor gli stessi germi in me vegg'io
e nel futuro con l'orrenda gola
guatami là una canna di pistola
Madre natura, amore, vita addio!