6/24/2020

Gli inediti di Carlo Michelstaedter





Poesia

Gli inediti di Carlo Michelstaedter

Paula Michelstaedter trascrisse i versi e le riflessioni del fratello Carlo. Le carte sopravvissero alla razzia dei tedeschi che nel 1943, durante la persecuzione degli ebrei goriziani e la requisizione dei loro beni, svuotarono l'appartamento di Paula a Gorizia, in via Pitteri. Una vicina di casa riuscì a mettere in salvo la cassa in cui erano conservate e così salvò l'opera del giovane filosofo, morto suicida nel 1910

Gli inediti di Carlo Michelstaedter
Distici (!) (1901)  
Pioggia che cadi scrosciante che bagni ed avvolgi Gorizia
Colgati il cancro affinché più non ti vegga tra i piè
Pioggia infame ed odiata che annaffi e rovini ogni festa
Trema! la mia cadrà certa vendetta su te.
Vedo venire quel giorno, mi mette la gioia nel cuore
Ché finalmente potrò, secco vedere il terren:
Sterminate pianure si estendono lussureggianti
Già nell’azzurro del ciel splende infocato il bel sol
Raggi cocenti egli manda alla candida strada maestra
Che dalla Mainizza va fino alla nostra città.
Sul mio leggero biciclo io volo, divoro la strada
Volo con rapidità senza alcun brutto pensier
Volo e la corsa sfrenata mi apre la mente ed il core
Librasi in alto il pensier, alti ideali egli vuol

Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi dà, tutto è una gran voluttà.

In bicicletta Esametri (Dicembre 1902)
Sterminate pianure si estendono lussureggianti,
Guida nel ciel di Latona il figlio il suo cocchio dorato,
Dardi infocati mandando alla candida strada maestra.
Sul mio cavallo d’acciaio io volo; né brutti pensieri
Turban la mente entusiasta che spazia per campi infiniti.
Volo e la corsa veloce mi apre i polmoni ed il core,
Volo e la strada fuggente di sotto alla ruota anteriore
Bianchi bagliori mi getta, arcana mi dà sensazione

Ave biciclo pietoso che allievi le cure ai mortali!

III
Al Vivaldi per un pezzo di legno (Dicembre 1902)




IV
A Semig (Novembre 1903)


Nel giorno memorando in cui giungi ai sedici anni
Vengo a farti i miei auguri, mio carissimo Giovanni
Che tu possa avere al fianco sempre un uomo come me
Un amico così buono così bello, hè hè hè.
Che tu possa esser allegro come adesso d’ogni età
E gridar senza pensieri sempre: Franz tà tà tà tà!

V
Brumat (1903)


Lungo e sottile, i morbidi mustacchi orizzontali
Alta la fronte d’ispidi capelli incorniciata
Celesti gli occhi che dicono ai mortali
Ch’alti pensieri volgonsi nell’alma innamorata.

VI

               A Mreule           (Sabato 10.30-11) 1900-1901


Carissimo!
       Non t'adontar di mie parole o Rico
       amico vero parla ad un amico
       col fare antico.
       D'allungarmi in preludi non mi sento
       senza proemio entro in argomento:
       non so esser lento.
                                               _

       Se 'l tutto è nulla noi siam men che nulla,
       Noi al dolor votati dalla culla
       siam gente grulla.
       E poi che liberarci a noi non lice
       dalli legami delle convenienze
       di render tentiamo almen felice
       questo viaggio pien di sofferenze,
       tentiam di sollevarci dalla schiera
       degl'uomini volgari, e una bandiera
       leviamo di giustizia e libertate,
       le genti basse e vili e interessate
       pieghino a noi le fronti umiliate.
       Giacché se dura vuol necessitate
       che in una tragi-comica tenzone
       si dibatta una gente che possiede
       problematico lume di ragione
       senza mercede,
       sentiamo almen di rendere più lieve
       questo d'obblighi pondo tanto greve.
       Infine procuriam di soddisfare
       i bisogni innegabili morali
       della nostra natura, ché lottare
       con lei non giova. Come i materiali
       di lei bisogni tutti soddisfiamo
       quantunque sieno dalla nostra mente
       chiamati vili. Così pur dobbiamo
       al nostro cuor concedere equamente
       soddisfazioni morali e aspirazioni,
       quantunque lo  θυμός ce lo dispregi.
       Ma già di queste mie dissertazioni
       sarai ristucco. Dissi senza fregi
       della mia mente piccola il pensiero
       profondo e intero.
       Riassunsi quel che dissi in bicicletta
       in maniera probabile, migliore,
       rapidità fa aprire e mente e cuore,
       si pensa in fretta. -

       E se non abbiam forza di cangiare
       queste del mondo condizioni amare
      di ridere di loro almen tentiamo
      così godiamo. -
      Vedevo andare in schiera ora i soldati
      Ritti marciando e duri, vincolati
      dalla catena della disciplina -
       Ecco l'armata fa da burattina!
       Son giovani che prima avean decoro!
       Ed or non son che macchine di carne!
       L'assurditate invece che lagnarne
       risi di loro!

                                       -
                                     (Ott. 1904)

       Il lavoro pei mortali
       è un futuro spaventoso
       un presente faticoso
       ma un passato splendido


       VII                                 (1904)

       O perché mai si uccide il delinquente,
       perché il malvagio si disprezza ognora
       e chi il principio dell'onesto ignora!      
       Se tal natura o il pernicioso ambiente,
       lo fecero di che lo si condanna!
       O si condannerà forse un vitello
       perché bovino nacque e non uccello?
       Un falso senso la ragione inganna,
       una coscienza fatta d'egoismo.   

      VIII                     (1904-1905)   

      Ruppe i vetusti ceppi della fede
      in sé solo fidente il mio pensiero.
      Le oscure fonti a ricercar del vero
      cieco diresse e malsicuro il piede,
      per ciechi orrori incontro al fine ignoto
      al fine ignoto che l'affascinava. -
      Verso la luce brancolando andava
      avido e forte nell'orrendo vuoto.
      Lieve chiarore allora lui fu duce
      e  'l giunse al fine con fatica immane
      -  o falsa luce vaga d'ombre vane!
      vano riflesso dell'eterna luce!
      L'eterno vero fermo ed immutabile
      noi stupidi miriam oltre alla lente
      bugiarda e miope della nostra mente
      che ce lo mostra diminuito e labile.
      Ei si credé del dubbio vittorioso,
      sostò sui falsi allori trionfante,
      e della fede le catene infrante
      mirò superbo con l'occhio pensoso.
      Ma ancor l'incalza la rabida sete,
      a conseguire l'assoluto vero
      e fissa gli occhi nell'abisso nero
      e cade per la lubrica parete,
      giù nell'imperscrutabile mistero
      della vita. Io vidi allor che vano
      e relativo è ogni pensiero umano,
      vano l'affaticar del mio pensiero.
      Volli tornare i passi alla realtà
      della vita che avevo abbandonata.
      Aimè quant'era agli occhi miei cangiata,
      quanto diversa ormai la società!
      Era stracciato il velo pietoso
      che le miserie della vita asconde
      ed io scendeva nelle più profonde
      sue piaghe col ferro sanguinoso,
      e le scrutava di veder dolente
      e le scrutava col ferro fatale,
      tutte le fibbre distruggeva il male,
      trionfava la menzogna; e l'arti lente
      dell'ipocrita erano stromento
      all'egoismo che move ogni cosa,
      e in questa terra di pietà pelosa
      regna sovrano, autocrata, violento.
      Manifeste mi furono le frodi
      dei giusti, e le malvagità dei buoni,
      e manifeste delle religioni
      le infamie e le vigliaccherie dei prodi.
      Nel vile fango troppo avea indagato
      e allor che il vero l'animo m'offuse,
      ogni energia di vita in me si spense,
      in me lasciando il core assiderato.
      Ai!  quanto è triste quanto doloroso
      l'arida vita trascinando andare,
      del fuoco privi sacro e salutare
      del fuoco della vita poderoso.
      All'intelletto, al cuore ed alle braccia
      manca l'impulso naturale e forte,
      chiude la vita in seno già la morte
      ed ombra e morte all'occhio mio s'affaccia.
      È  morto nel mio core l'ideale
      morta è la vita, morta la poesia,
      si dibatte il pensier nelle fredd'ale
      del nulla sconfinato. Per tal via
      solo nella battaglia universale
      vivrò la triste vita e così sia!

                                            -

      Supremo insulto all' animo dolente
      la vanità di tutto l'universo
      vedere in me nel cuore e nella mente
      specchiato, e nel suo fango esser immerso.
      Ad una meta che fermo disprezza
      il mio intelletto ammagliatrice eterna
      sentirmi spinto da una forza interna
      priva di gioia, priva di bellezza.
      È freddo il cor. -  La fulgida scintilla
      del genio e pur dei sensi l'estasi infinita
      non sa. Né un lampo di virtù più brilla
      in lui né fiamma d'epico valore
      a far la forza bruta della vita
      impeto d'arte di poesia d'amore.

                                            -

      Io non mi so spiegar che sia avvenuto
      nell'animo mio triste e sconsolato
      nell'animo mio vinto e sfiduciato. -
      Come un tenero suono di liuto,
      una dolce armonia nel cor mi nacque,
      levità salì al cervello voluttuosa
      allo stanco cervel che mai non posa.
      Vinse il pensiero e tutto allor si tacque. -
      Cantava amore. -  Un turbamento strano
      e puro e dolce e vago d'oblivione
      mi scosse. Ahimè!  fu forse sogno vano?
      Fu di spossati sensi un'illusione?
      O forse è vero: nel mio cor lontano
      cantava Amor la prima sua canzone?

IX
               Ode saffica     (aprile 1905)

  
 Io vivo fuori del mondo reale
    vivo in un sogno, vivo in un'idea
    un'idea che m'innalza, mi ricrea
    nella miseria
    Il sangue nelle vene si ravviva
    come i ruscelli al cader della pioggia.
    Io schiavo del pensier ora divenni
    un sognatore.
    Gli strali del mio povero cervello
    che il cuore a me uccidevano ed il mondo
    s'arrestano, si smussano placati
    interrogando.
    Una forma gentile li ha domati
    a lei l'ardita piegano carne
    si prostrano all'imagine adorata
    muti ammirando.
    Tra i lampi del pensiero annientatore
    fra le battaglie, fra le delusioni
    te vidi pura e fulgida fanciulla
    nell'innocenza.



     X                                   (aprile 1905)

Quanto t'amo mia dolce fanciulla gentil
che rifletti negli occhi lo sguardo d'amor
tu mi elevi, mi salvi da insano furor
che doveva condurmi alla morte.
Tu dal volgo m'innalzi, dall'animo vil
verso il limpido azzurro infinito del ciel
in un'estasi pura e profonda del bel
mentre un'onda d'amore m'incanta
mentre scuote ogni fibra del cuore il sospir
disperato dell'agonizzante Manon
mentre vibra per l'aria il poetico suon
io ti miro negli occhi rapito. -


     XI                       (aprile 1905)

    Ora mi sembra d'esser più cattivo
    mi sembra muta l'armonia del mondo
    mi sembra d'esser divenuto immondo
    mi sembra di peccar se di lei scrivo.

    E di peccare quando a lei rivolgo
    ardente e supplicante il mio pensiero
    mi sento tratto in un abisso nero
    mi sento perso nell'umano volgo.


   XII                          (Apr. 1905)

    Ell'è partita!   Ed io son ripiombato
    nel deserto dell'alma sconsolata
    ella che nella strada affaticata
    l'animo mio salvava dalla morte

    Non è più qui col suo viso adorato
    i pensier a cacciar dalla mia mente,
    ritornan ora all'animo dolente
    le cupe riflessioni già risorte.

    Per me non ebbe pur un'espressione
    non uno sguardo, non una parola,
    e nel rimpianto della compassione

    di me, mi struggo. L'anima mia sola
    nell'universo freme ribellione
    ed il pensiero amaro a lei sen vola.


   XIII            (maggio 1905)

    Trascorse sono già tre settimane
    dacché m'abbandonasti o mia fanciulla
    né più un saluto, una parola nulla
    giunse le nostre anime lontane

    Io non lo so perché, ma involontario
    ed insistente, amaro e tormentoso
    sorge un pensiero in me che dir non so.
    E pur...  o mia fanciulla deh m'ascolta

    Tu m'obliasti già, né mai sincero
    né forte mai fu verso a me il tuo affetto
    mai tu corrispondesti nel tuo petto
    la fiamma che annientava il mio pensiero.

    Fu inganno quello ch'io credetti amore
    e fu menzogna l'edera fedele,
    tutto un inganno perfido crudele
    che m'ha straziato ed invecchiato il cuore.

    L'ardente sguardo tuo che m'accendeva
    di folle amore e disperato e insano
    menzogna, e fu menzogna la tua mano
    allor che nella mia si confondeva.

    Ed ora tutto tace nel mio cuore,
    la fibbra è rotta della mia esistenza
    io  miro con stupor nell'incoscienza
    la vita che ha perduto ogni calore.

    E ancor respiro l'atmosfera greve
    di vanità, d'infamia di bassezza
    donde il suo sguardo con la sua carezza
    mi trasse per un tempo ahime! sì breve.

    E ancor  gli stessi germi in me vegg'io
    e nel futuro con l'orrenda gola
    guatami là una canna di pistola
    Madre natura, amore, vita addio!
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